di Lucia Preziosi
Secondo un sondaggio condotto dall’Università dell’Insubria sono poche le persone a nutrire la massima fiducia nei propri consulenti di bellezza. Abbiamo chiesto il perché a tre nomi noti della coiffure.
Un sondaggio condotto dall’Università dell’Insubria, a Varese, ha misurato la fiducia nelle varie istituzioni e nelle professioni intervistando un campione di 1106 persone ed è venuto fuori un quadro non proprio positivo per i parrucchieri: solo l’8,3% degli intervistati ha dichiarato di avere fiducia in questa figura professionale.
Se al primo posto troviamo i medici con il 57% dei consensi e gli scienziati con il 32%, tante le professioni piazzate sotto i parrucchieri: commercialisti e tatuatori (7%), consulenti di banca e baristi (6%), amministratori e idraulici (4%), babysitter (3%), agente assicuratore, politici, conduttori Tv e badanti (2%) e, infine, all'ultimo posto le blogger con l'1% di consensi.
Ma torniamo alla professione del parrucchiere, a cosa è dovuta tanta sfiducia e cosa bisogna fare per conquistare la propria clientela? L'abbiamo chiesto a tre noti nomi del settore: Sergio Carlucci, co-fondatore insieme a Charity Cheah di Toni&Guy Italia, Giusy D'Onghia, fondatrice Kultò Hair Academy, e Luca Lonardi, Art Director Specchiasol.
Ecco le loro interviste:
A cosa è dovuta questa mancanza di fiducia da parte dei clienti? E da cosa è importante partire per incrementarla?
Sergio Carlucci: “Inizio subito con il dire che l’8 % di clienti fiducioso verso la figura professionale del parrucchiere mi sembra un po’ pochino: sono sicuro che chi ha svolto la ricerca l’abbia fatto con cura ma comunque il risultato non mi sembra verosimile. Detto ciò, la maggior professionalizzazione del professionista da un punto di vista tecnico, scientifico e culturale farebbe certamente percepire tale figura meglio di come è oggi. Credo che sia opportuno investire nella capacità di ascolto e comunicazione in modo particolare perché le delusioni che vivono i nostri clienti sono perlopiù legate alla sensazione di non essere compresi o addirittura ascoltati.”
Giusy D'Onghia: “Se si pensa a come l'immaginario collettivo vive la figura del parrucchiere, a come ad esempio Checco Zalone, uno dei comici più seguiti del momento, ha descritto la nostra professione (botteguccia piccola, parrucchiera poco curata e preparata) allora si capisce il perché di questo risultato. Per essere vista in maniera diversa, questa professione va fatta in maniera diversa: lo devono capire i colleghi ma anche le aziende di settore, che dovrebbero elevare maggiormente la formazione erogata.”
Luca Lonardi: “Fondamentalmente perché siamo una categoria di 'bugiardi', ovvero molto spesso fingiamo di ascoltare i desideri della cliente ma poi facciamo di testa nostra. A mio parere la fiducia va incrementata proprio puntando sui servizi di accoglienza, ascolto e consulenza, tre aree sulle quali occorrerebbe potenziare la formazione. Quella delle aziende, ma soprattutto quella offerta a livello scolastico dalle regioni, che si rivolgono ai giovanissimi.”
Ispirano più fiducia i parrucchieri uomini o le donne? E perché?
Sergio Carlucci: “Essere uomini o donna non fa differenza, la fiducia è legata ad un comportamento professionale e costante in grado di creare quella giusta autorevolezza per essere ascoltati dai propri clienti.”
Giusy D'Onghia: “Non credo sia un problema legato al genere, piuttosto a come il parrucchiere – uomo o dona che sia – riesca a trasmettere il proprio concetto di bellezza. Un vero acconciatore deve essere una persona curata, che apprezzi la bellezza del mondo, con un'apertura mentale che lo aiuti a confrontarsi con tutti e ad avere un rapporto professionale con la propria clientela.”
Luca Lonardi: “Forse per un uomo è più facile ottenere l'attenzione delle clienti, ma a mio parere la variabile importante – quella che va al di là delle differenze di genere – è la professionalità”.
Si dice che “il vero vantaggio competitivo di un professionista sia il valore aggiunto che solo lui può offrire”: qual è il valore aggiunto che può offrire un parrucchiere?
Sergio Carlucci: “Potrei rispondere con mille metafore, ma dico subito che ognuno di noi aggiunge qualcosa di unico e non riproducibile da altri. Le esperienze del singolo professionista – la città in cui vive o ha vissuto, il percorso di studio, lo stile di vita, il gusto personale, i credo, ecc… – lo portano ad essere quello che è e di conseguenza a determinare quello che può offrire…”
Giusy D'Onghia: “Essere professionisti. Personalmente ho fatto studi di anatomia e quando consiglio a un cliente un colore piuttosto che un taglio, sono anche in grado di spiegare il perché quel particolare ciuffo, tagliato a quell'altezza, regali armonia al suo viso. Formazione e informazione sono le due parole chiavi per elevare la nostra professione e riacquistare la fiducia dei clienti”
Luca Lonardi: “Sedersi accanto alla cliente ed ascoltarla. Comprendere i suoi bisogni, anche quelli inespressi e fare in modo che il cliente diventi un valore assoluto”.
Per conquistare nuovi clienti, conta più la formazione e la professionalità o avere un bel salone e una 'buona parlantina'?
Sergio Carlucci: “Conta tutto, persone diverse sono attratte da segnali diversi. Un bel salone fa venir voglia di “provare”, l’essere bravi e preparati fa sì che le persone parlino bene del professionista, una buona parlantina crea atmosfera e coinvolgimento.”
Giusy D'Onghia: “Avere un salone impattante e sapersi vendere al meglio è importante per avere successo ma quello che noto sempre di più è che la gente corre tanto dietro alle apparenze senza dare peso al contenuto. Pensando, ad esempio, a quei parrucchieri che vanno a fare comparsate in tv senza dare nulla di concreto, mi sorge spontanea una domanda: come facciamo ad essere presi sul serio dai clienti? Gli acconciatori, le aziende, gli stessi programmi televisivi dovrebbero aiutarci ad elevare la professione, non ad abbassarla!”
Luca Lonardi: “Aggiornamento e professionalità sono alla base di tutto: un acconciatore che non conosce le tendenze del momento, che scimmiotta quel che vede da altri colleghi senza saperlo adattare alle proprie clienti non va lontano. È altrettanto importante costruire una buona comunicazione acconciatore-cliente, affinare le nostre capacità di ascolto, saper gestire con efficacia le relazioni interpersonali.”
Secondo lei i colleghi all'estero sono più considerati? Se sì, per quale motivo?
Sergio Carlucci: “Dipende da Paese a Paese. Laddove i governi hanno investito nella qualità della formazione professionale, la percezione di tutto il comparto è elevata. Il Nord Europa, ad esempio, ha cercato di far confluire il meglio del panorama locale education nelle scuole pubbliche, certificando non solo la presenza ai corsi ma anche le capacità oggettive. Un buon esempio? Il sistema NVQ britannico. Va anche aggiunto che in alcuni Paesi i media hanno deciso di trattare la figura professionale dell’hairstylist come una figura autorevole che dà consigli ed imput alle audience.”
Giusy D'Onghia: “All'estero, ad esempio in Germania, non è possibile aprire un salone se non si segue prima un certo iter professionale e questo innalza la fiducia nella professione. All'estero i prezzi sono molto più alti ma i clienti non hanno problemi ad accettarli e questo è sintomo di una maggior considerazione verso questa figura professionale.”
Luca Lonardi: “Non so se all'estero i parrucchieri ispirino più fiducia, di certo godono di una maggiore visibilità. Parlo dei colleghi anglosassoni, canadesi, messicani e cinesi”.