21 Giugno 2025

L’intervista a Gaja Curletto

Figlia d’arte, la giovane hairstylist si racconta e ci apre una finestra sulla coiffure di oggi.

Avvicinare le generazioni più giovani alla professione dell’acconciatore per creare una nouvelle vague di stilisti capaci di accogliere il know how e la tradizione infondendo una ventata di energia nuova che parli il linguaggio della tecnologia, dei social, della contemporaneità. Non è facile, ma non è nemmeno impossibile.

L’intervista con Gaja Curletto rappresenta un buon energizzante in questa direzione. “Sono diventata hairstylist per scelta, in quanto nessuno me l’ha imposto, e per destino, perché è un lavoro che ho respirato già in famiglia. A 15 anni ho deciso di iscrivermi a una scuola di parrucchieri che mi ha avvicinato a questa professione. A 16 anni ho iniziato a lavorare in salone come apprendista e a vivere esperienze lavorative anche fuori, che mi hanno permesso di viaggiare molto e arricchire il mio bagaglio professionale” racconta. 

“Oggi vivo il mio lavoro sempre con grande curiosità e ciò che mi dà energia è l’opportunità di lavorare in settori diversi: dagli show alle sfilate, dagli eventi ai talk show passando per la produzione di video e servizi editoriali”.

Come sono stati gli inizi e il percorso che ti ha portato fin dove sei ora?

Posso dire che per me è un po’ come se ogni giorno fosse “l’inizio”! La costanza e la dedizione per ciò che amo mi porta a essere costantemente attenta ai dettagli e soprattutto con i piedi per terra. 

Sei figlia d’arte, che cosa pensi ti abbia lasciato come eredità professionale tuo papà Franco?

La condivisione del lavoro con lui e con mia madre Monica è un’eredità quotidiana preziosa e inestimabile, una fortuna che mi rendo conto di avere e che custodisco gelosamente. 

Franco è ancora assolutamente sul pezzo. Ha avuto la possibilità di esercitare in tanti ambiti diversi: arte, grandi campagne pubblicitarie, show, seminari, celebrities. Quello che mi lascerà un giorno sarà la condivisione di una vita passata a inseguire una passione che lo ha portato a essere Franco Curletto.

C’è qualcosa di lui in particolare che gli “invidi” e vorresti avere anche tu?

Non ho mai cercato di essere un’altra persona, ho sempre puntato a scoprire me stessa in questo percorso che mi accompagnerà per tutta la vita. Non parlerei di invidia ma di ammirazione!

Ragionando sul viceversa, che cosa pensi di aver insegnato tu a lui, in qualità di stilista appartenente a una generazione differente?

Sicuramente ho portato una ventata di energia riguardo l’innovazione digitale, insieme a un’interpretazione moderna e contemporanea di quello che è il mondo dell’acconciatura. 

Come vedi la professione di parrucchiere oggi in Italia? E nel futuro?

La nostra è un’attività che ci vede protagonisti individuali, ma deve necessariamente essere condivisa con un team di lavoro che si entusiasmi su un progetto comune, perché “da soli si va veloci ma se si vuole andare lontano si deve essere in tanti”. Ritengo che il nostro lavoro sarà sempre una professione Be to Be, dove l’arma vincente è e sarà sempre la creatività artistica. 

Cosa pensi desideri oggi la cliente quando entra in salone?

Quello che penso lavorando e ascoltando i desideri delle persone ogni giorno (compreso quello che ricerco io quando sono cliente) è che, a oggi, è importante lavorare sull’individualità a tutto tondo. Abbiamo tutti gli strumenti per farlo: a partire dalla vasta gamma di prodotti a nostra disposizione, ai trattamenti, la nostra visione arricchita dall’esperienza, le nostre mani, fino alla nostra capacità di ascolto, interpretazione ed empatia. 

La cliente oggi ricerca una figura professionale che possa ascoltarla e guidarla per raggiungere il risultato che più desidera, qualche volta che le spieghi anche fin dove si può ottenere.  Penso che nel futuro, con tutta questa innovazione digitale in atto e con tutte le informazioni che riceviamo ogni giorno, il rapporto di fiducia tra cliente e professionista sarà sempre più una fonte di confronto preziosa. Starà a noi giovani non confonderci con i supporti tecnologici – per esempio vivere l’intelligenza artificiale come un nostro sostituto –

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