Haircolorist, co-titolare insieme a Roberto Marcon del salone “Hair Boutique” a Romagnano Sesia (NO), ha esperienze nei backstage delle fashion week, shooting, events ed è educator Pulp Riot Italy. Il suo obiettivo? “Creare interesse”. Perché “portare un crazy color è vestire un personaggio…”.
“Oggi è importante distinguersi: nel bene o nel male bisogna fare la differenza. Il mondo dei coloristi è paragonabile all’arte contemporanea. Per apprezzarla occorre cambiare il proprio punto di vista. Comprendere l’ispirazione dell’artista. Le colorazioni di tendenza ci stimolano a superare i nostri limiti.
L’obiettivo è creare interesse: la persona che vuole la ciocca colorata per sentirsi stravagante è superata, sia over o under Fifties. E non serve colorare tutta la testa: occorre posizionare i colori con logica e non a casaccio, solo per il gusto di averli. È questo a fare la differenza e a rendere “in o out” i crazy color.
Perché non si tratta solo di un colore di capelli, ma di indossare un’identità. Vestire un personaggio anche solo per un periodo. Ogni tanto mi capita di vedere ragazze con la testa giusta ma il carattere sbagliato o viceversa. Chi sceglie il crazy deve avere la giusta predisposizione mentale. Non lo deve fare per distinguersi, deve essere una persona che già si distingue.
Le colorazioni strong sono destinate ad evolversi: questa è l’era della ricerca verso nuove tecniche di accostamento. Quello che conta non è quanti colori metto sulla stessa testa, ma come decido di posizionarli. Personalmente amo realizzare i Pixel Hair (tecnica di colorazione by X-Presion n.d.r.): il “disegno” appare e scompare a seconda di come vengono pettinati i capelli, rivelando sempre nuovi aspetti.
Non sempre i desideri delle clienti sono realizzabili: in fase di valutazione occorre essere freddi e distaccati come i medici più spietati. A volte è necessario intervenire in più sedute, trovare un compromesso, ma ci sono casi in cui occorre rifiutarsi. Un “no” sostenuto da una dettagliata spiegazione tecnica fa guadagnare più clienti che un “sì” detto per paura di deludere”. Cristina Vigna